Lucca Tuareg

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i Tuareg

L’immagine che noi abbiamo di questo popolo misterioso è
romanzesca: quella dei mitici “Uomini Blu”del deserto, figli del
vento, personificazione per gli Europei di libertà ormai impossibile.
Invece, la loro realtà è quella di un popolo che rischia non solo di
perdere la propria identità culturale, ma di giungere all’estinzione.
I Tuareg sono pastori nomadi forse di origine berbera, tra i primi
abitanti dell’Africa del nord. Essi hanno da sempre considerato come
loro patria quella che per tutti gli altri era “terra di nessuno”, il
deserto del Sahara. Il nome Tuareg è stato loro attribuito dagli arabi e
significa “sperduti”, cioè senza Dio, “ abbandonati”.
Essi invece si definiscono Kel Tamashek, il popolo (Kel) che
parla la lingua“tamaschek” oppure “Imohar” cioè uomini liberi.
La lingua è dunque uno dei fattori che contraddistingue e unifica
questo popolo nomade (le stime più recenti parlano di oltre un
milione di individui) che vive sparso in cinque diversi paesi della
fascia del Sahel, particolarmente numerosi nel Niger, Nord del Mali,
Libia, Burkina Faso e sud dell’Algeria.
Oltre alla lingua anche la scrittura “tifinagh” è un elemento
unificante della cultura tuareg che, consapevole della propria
originalità, ha saputo conservare caratteristiche sue proprie anche
durante la colonizzazione francese.
L’organizzazione sociale
I Tuareg sono suddivisi in “Kel” (Confederazioni) e
prendono il nome dalle località che essi occupano; hanno una
struttura gerarchica al cui vertice vi è un “Amenokal”, capo supremo
e proprietario di tutte le terre del Kel; a lui si dovevano versare
tributi di vario genere come il diritto di passaggio e di pascolo.

A seguito del loro rifiuto di assimilazione e del vivo desiderio di
preservare la propria cultura, i Tuareg si sono spesso scontrati con i
rispettivi governi.
Il declino economico
In tempi precoloniali, i Tuareg erano un popolo ricco e
potente. Ma una colonizzazione aggressiva, il declino economico e le
catastrofi ambientali hanno eroso la loro influenza.
Molti sono stati costretti ad abbandonare la vita nomade,
trasferendosi nelle periferie urbane, dove sopravvivono svolgendo
lavori occasionali.
La ribellione
In tutto il Sahel, ma soprattutto nel Niger e nel Mali, i Tuareg
hanno richiesto una maggiore autonomia e, in alcuni casi,
l’autogoverno.
Nel Mali, all’inizio degli anni ‘90, alcuni gruppi militanti hanno
cominciato a sferrare attacchi armati contro le forze governative di
stanza nel nord.
Malgrado la conclusione, nel gennaio 1991, di un accordo di pace tra
i ribelli e il governo, gli attacchi sono continuati fino alla deposizione
del presidente, nel corso dello stesso anno.
Fino a quel momento migliaia di persone, soprattutto Tuareg e Mauri
erano fuggite in cerca di scampo dalle rappresaglie militari e dalle
uccisioni sommarie, attraversando le frontiere con l’Algeria, la
Mauritania, il Burkina Faso, il Niger e il Senegal.
Nel 1992, grazie anche a una mediazione internazionale, veniva
concluso un patto tra il governo del Mali e il gruppo più importante
di ribelli tuareg.
Oltre a dichiarare il cessate il fuoco, l’accordo prevedeva
l’arruolamento degli ex ribelli nell’esercito o nel servizio civile,
nonché la messa a punto di programmi di sviluppo delle province
settentrionali.

Purtroppo solo poche di queste proposte venivano effettivamente
realizzate e nel 1993 i combattimenti riprendevano. Solo nel 1994 il
governo ha cominciato veramente ad attuare il patto, riportando così
una certa calma e stabilità nel nord del paese e permettendo di
portare avanti il piano per il rimpatrio dei rifugiati.
Nello stesso periodo, un’analoga rivolta scoppiava nel Niger
settentrionale ad opera di una coalizione di gruppi armati tuareg di
opposizione. Come nel Mali, il governo rispondeva con una dura
repressione militare, che costringeva all’incirca 20.000 Tuareg a
fuggire in Algeria e nel Burkina Faso.
Dopo numerosi tentativi un accordo di pace veniva finalmente
sottoscritto nell’aprile 1995. Sporadici combattimenti proseguivano
per tutto il 1995 perché alcuni gruppi ribelli rifiutavano di accettare
la risoluzione del conflitto.
La situazione ha cominciato a migliorare dopo una
conferenza che ha riunito attorno allo stesso tavolo nell’ottobre 1995
il governo, i gruppi ribelli, le autorità locali, i capi tradizionali, i
paesi e gli organismi donatori. A seguito delle discussioni tutte le
parti in causa concordavano nel sostenere il processo di pace.
Venivano anche messi a punto piani concreti per il ripristino delle
zone di pastorizia e la realizzazione di programmi di sviluppo nel
Niger settentrionale.
Attualmente la situazione è di nuovo critica. L’autonomia
promessa non si è compiutamente realizzata. Le regioni tuareg,
sempre più isolate, soffrono dell’abbandono dei governi centrali. Le
infrastrutture programmate, come strade, scuole, dispensari sono
rimaste sulla carta, per cui il malcontento della popolazione è
sfociato in nuovi movimenti di rivolta. Teniamo presente che lo
sfruttamento delle risorse del sottosuolo, uranio nel Niger e petrolio
nel Mali non portano alcun vantaggio ai nomadi. Al contrario essi si
vedono ostacolati nei loro percorsi e non possono più svolgere
l’attività pastorale, l’unica possibile nel contesto sahariano che
garantiva loro almeno la sopravvivenza.

                                             Carla Papucci Barburini

Quaderno "Speciale Tuareg"

                                                                                  Nota Importante
Le foto inserite in questa pagina sono di Autori Vari
Il testo di questa pagina è un estratto da:
Quaderno speciale "i Tuareg"
-  QUADERNI DELLA SCUOLA PER LA PACE
E’ possibile scaricare i quaderni dal sito della Scuola per la Pace

www.provincia.lucca.it/scuolapace
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